Sciogliendo  la riserva formulata all'udienza del 24 giugno 2004,
propone  il  seguente ricorso ex art. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87,
conflitto  di  attribuzioni  tra  i  poteri  dello Stato, nella causa
civile  iscritta  al  numero  di  ruolo  generale sopra riportato tra
Vittorio  Feltri  e  la  C.E.L.  - Cooperativa Editoriale Libero, con
l'avv. Vitale, e on. Umberto Bossi, con l'avv. Brigandi.

                              F a t t o

    Gli  attori  in  epigrafe hanno convenuto innanzi al Tribunale di
Monza  sezione  distaccata  di  Desio,  l'on.  Umberto Bossi (oltre a
Giuseppe  Baiocchi  ed  alla  Editoriale  Nord  Soc.  coop.  a  r.l),
lamentando  -  per  quel  che interessa nella presente sede - che sul
numero  del  quotidiano «La Padania» stampato e pubblicato in data 16
febbraio  2002 era stata pubblicata un'intervista rilasciata dall'on.
Umberto  Bossi  (e  resa  al  Baiocchi),  titolata «Il segretario del
Carroccio  replica  alle  farneticazioni  del  quotidiano  e  attacca
Feltri:  e'  uno  che  lavora per chi gli da' lo stipendio - "Gettano
fango per coprire Telelcom Serbia" - Bossi: Libero e' funzionale alla
sinistra.  Hanno un obiettivo comune, diminuire il potere del Nord» e
contenente svariate affermazioni, a parere degli attori diffamatorie.
Svoltosi regolarmente il giudizio - durante il quale, come comunicato
dal  Presidente  della  Camera  dei  deputati  con missiva in data 23
novembre  2002, la competente Giunta veniva investita della questione
di  riconducibilita'  delle  suddette affermarzioni all'art. 68 della
Costituzione  - le parti venivano invitate a precisare le conclusioni
e la causa veniva trattenuta in decisione.
    Nei  propri  scritti  difensivi  conclusivi,  tuttavia, la difesa
dell'on.  Bossi veniva ad invocare l'applicazione congiunta dell'art.
68  della  Costituzione  e dell'art. 3, legge n. 140/2003, entrata in
vigore nelle more del giudizio.
    Con propria sentenza in data 19 novembre 2003 questo Tribunale ha
deciso definito la controversia tra gli attori e gli altri convenuti,
ad  esclusione  dell'on.  Bossi,  in  relazione  al  quale  ha invece
disposto  la  prosecuzione  e  contestuale  sospensione  del giudizio
rimettendo gli atti alla Camera dei deputati.
    La  Camera  dei  deputati,  nella  seduta  del 4 febbraio 2004 ha
deliberato  nel  senso  che  i  fatti  in  ordine  ai  quali e' stato
instaurato  procedimento  penale  concernono  opinioni espresse da un
membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue funzioni ai sensi
dell'art. 68, primo comma della Costituzione.
    Gli  attori  hanno  quindi  riassunto il giudizio sollecitando il
tribunale  a  proporre  conflitto  di attribuzioni tra i poteri dello
Stato.

                            D i r i t t o

    Alla  luce  della  piu' recente giurisprudenza costituzionale, il
giudice che ritiene di non condividere la soluzione adottata dal ramo
del Parlamento di appartenenza dell'imputato, ha solo la possibilita'
di  sollevare  un  conflitto  di  attribuzioni tra poteri dello Stato
(vedi  sul  punto  Corte  costituzionale  n. 129 del 1996 la quale ha
annullato  l'ordinanza  del  Tribunale  di Palermo che aveva disposto
procedersi  oltre nel dibattimento penale nonostante il Senato avesse
dichiarato   insindacabili  ai  sensi  dell'art. 68,  comma  1  della
Costituzione  le opinioni espresse dall'imputato per poi ribadire che
«...  il  solo  rimedio  e'  dato  -  invece  - dalla possibilita' di
controllo   della   Corte   costituzionale  sulla  correttezza  della
deliberazione  parlamentare: controllo che il giudice puo' promuovere
col  mezzo  del  conflitto  di  attribuzione  ...»  ma cfr., anche da
ultimo,  Corte  costituzionale  23  luglio  2002,  ord. n. 379; Corte
costituzionale  6 marzo 2002, n. 47; Corte costituzionale 15 febbraio
2002, ord. n. 27; Corte costituzionale 16 febbraio 2002, ord. n. 37).
    Poiche'  la  vicenda  in  questione trae origine da un'intervista
rilasciata  dall'on.  Bossi  ad un quotidiano ad ampia tiratura, deve
farsi  necessariamente  riferimento  alla piu' recente giurisprudenza
della  Corte  costituzionale,  la quale ha in piu' occasioni rilevato
come  le  dichiarazioni  rese  dal  parlamentare extra moenia, pur se
atipiche rispetto alle funzioni principali, possono ritenersi coperte
dall'insindacabilita'  a  condizione che sussista un nesso funzionale
tra  le  dichiarazioni  medesime e le funzioni svolte. In piu' di una
occasione  la  Consulta  ha  avuto  modo  in particolare di escludere
l'esistenza   di   un   nesso   funzionale   nelle  dichiarazioni  ed
affermazioni  proferite  nel  corso  di interviste, quando queste non
trovavano  ad  esempio  riscontro  in  opinioni espresse nel corso di
regolari  interventi  durante  le  sedute  parlamentari  (cfr.  Corte
costituzionale,   6  dicembre  2002,  n. 521;  Corte  costituzionale,
15 marzo  2002,  n. 52;  Corte  costituzionale, 15 marzo 2002, n. 51;
Corte  costituzionale,  17 maggio 2001, n. 137; Corte costituzionale,
17 gennaio 2000, n. 11).
    Non  ignora  il  tribunale che, a seguito dell'introduzione della
legge  n. 140/2003,  la  Consulta  e'  stata  chiamata  nuovamente  a
pronunciarsi sull'intera materia, ed in particolare a stabilire se la
nuova legge avesse comportato la introduzione di una insindacabilita'
assoluta delle opinioni espresse dai membri del Parlamento.
    Con la sentenza n. 120/2004 la Corte costituzionale ha avuto modo
di chiarire:
        che  con la novella del 2003 «nonostante la nuova, piu' ampia
formulazione  lessicale,  puo'  considerarsi  di  attuazione, e cioe'
finalizzata  a  rendere  immediatamente  e direttamente operativo sul
piano processuale il disposto dell'art. 68, primo comma», dal momento
che  le  attivita'  analiticamente indicate non fuoriescono dal campo
materiale  dell'art. 68  della  Costituzione ed in considerazione del
fatto  «che  il  legislatore  stabilisce  espressamente  che tutte le
attivita'  indicate  debbono  comunque,  anche se espletate fuori del
Parlamento,  essere  connesse  con l'esercizio della funzione propria
dei  membri del Parlamento, in conformita' appunto con il primo comma
dell'art. 68»;
        che  quindi  «si  puo'  ritenere che con la norma in esame il
legislatore   non   rinnovi   affatto   alla   predetta  disposizione
costituzionale,   ampliandone  o  restringendone  arbitrariamente  la
portata,  ma  si limiti invece a rendere esplicito il contenuto della
disposizione   stessa,   specificando,   ai   fini   della  immediata
applicazione  dell'art. 68,  primo  comma,  gli  «atti  di  funzione»
tipici,  nonche'  quelli che, pur non tipici, debbono comunque essere
connessi  alla  funzione parlamentare, a prescindere da ogni criterio
di «localizzazione»;
        che  pertanto  «non  qualsiasi  opinione  espressa dai membri
delle Camere e' sottratta alla responsabilita' giuridica, ma soltanto
le  opinioni  espresse  "nell'esercizio  delle funzioni"», atteso che
l'insindacabilita'  «non  puo'  mai  trasformarsi  in  un  privilegio
personale,   quale   sarebbe   una   immunita'   dalla  giurisdizione
conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare».
    La  conclusione  della  Consulta e' stata quindi nel senso che ai
fini  dell'insindacabilita',  permane  la  necessita'  che  vi sia un
collegamento  necessario  con  le  «funzioni»  del  Parlamento, cioe'
l'ambito  funzionale  entro cui l'atto si iscrive, e che in ogni caso
deve  essere  tale  da  rappresentare  esercizio  in  concreto  delle
funzioni proprie dei membri delle Camere.
    Orbene,  e'  opinione di questo tribunale che nella specie alcune
delle  dichiarazioni rese dall'on. Bossi durante l'intervista fossero
del  tutto  svincolate  dall'attivita'  funzionale  e che pertanto la
decisione  della  Camera  dei  deputati  che  ha  ritenuto anche tali
dichiarazioni   coperte   dalla  insindacabilita'  ex  art. 68  della
Costituzione   sia   venuta   a  ledere  le  prerogative  dell'ordine
giurisdizionale.
    Va osservato infatti che:
        1)  nell'intervista  all'origine della vicenda in esame l'on.
Bossi  -  dopo essere dato alcune risposte che, pur se caratterizzate
da  connotazioni forti, costituiscono comunque in modo incontestabile
opinioni  di  un politico e rientrano anche nell'esimente del diritto
di critica - proferisce ad un certo punto due dichiarazioni, entrambe
relative a Vittorio Feltri (la prima: «E' soltanto un topolino con la
barbetta bianca senza alcuno scrupolo»; la seconda: «Guardi, molti di
noi  non  hanno  dimenticato  che  pubblico'  le  foto  orrende della
pedofilia.   Con  la  scusa  di  condannarla,  suscitava  apposta  la
morbosita' della gente. D'altra parte la divisione vera non e' quella
che  si  dice:  e' un'altra. C'e' chi e' convinto che il potere venga
dall'alto,  che  ci  sono  i diritti artificiali, che va coltivata la
"famiglia  orizzontale" (compresa quella omosessuale), la dose minima
di  pedofilia ... e Feltri sta proprio da quella parte», che a parere
del  tribunale,  travalicano  il  limite  della  continenza verbale e
trasmodano nell'espressione ingiuriosa, priva di finalita' diversa da
quella  di svilire e indicare a disprezzo pubblico la persona oggetto
della  critica  medesima,  mera  denigrazione  fine  a  se' medesima,
argumentum  ad  hominem,  che  evoca  la  indegnita'  o inadeguatezza
personale del destinatario invece di criticarne programmi o azioni.
        2)  le  espressioni  -  che  fuoriescono anche dal diritto di
critica  -  sembrano  esulare anche dalla garanzia di cui all'art. 68
della   Costituzione,   in   quanto  non  si  tratta  di  espressioni
pronunciate   in   Parlamento,   bensi'   extra  moenia  e  non  sono
immediatamente ricollegate all'attivita' parlamentare ed anzi sono ad
essa  del  tutto  estranee  in quanto si tratta di meri giudizi su un
personaggio   (Vittorio   Feltri)   con  un  contenuto  smaccatamente
oltraggioso  ed  offensivo.  Non  pare  potersi rinvenire alcun nesso
funzionale  neppure  con  il  dibattito  parlamentare  sul c.d. «Caso
Telekom  Serbia»,  dal  momento  che nelle dichiarazioni in questione
cessa  l'esistenza  di  nesso alcuno con la vicenda in questione e si
opera   una   mera  valutazione  personale  ed  offensiva  del  tutto
svincolata dai fatti in questione.
        3)    tali   considerazioni,   gia'   ampiamente   illustrate
nell'ordinanza  con  cui  ex  art.  3,  legge n. 140/2003 erano stati
rimessi  gli atti alla Camera dei deputati, non sembrano essere state
neppure   prese   in   considerazione   ne'   dalla   Giunta  per  le
autorizzazioni ne' dalla stessa Camera dei deputati. La lettura delle
trascrizioni  delle  sedute dei due organi, infatti, evidenzia che la
valutazione  di  insindacabilita'  e'  stata  assunta  sulla  base di
dichiarazioni   diverse  da  quelle  che  erano  state  indicate  dal
tribunale  come  diffamatorie, senza invece valutare in alcun modo le
espressioni  piu'  gravi  dell'on.  Bossi,  le  quali  sono  state  -
soprattutto negli interventi alla Camera - addirittura omesse.
        4)  tale  carenza  induce  il  tribunale  a concludere che la
valutazione della Camera sia stata effettuata violando le prerogative
del potere giurisdizionale in quanto si e' tradotta nell'affermazione
-  in  netto  contrasto  con l'orientamento piu' volte espresso dalla
Corte  costituzionale,  in  questa  sede richiamato - di una totale e
radicale  insindacabilita'  di  qualsiasi espressione proferita da un
parlamentare,  in  virtu'  della  mere  veste  di quest'ultimo, cosi'
esponendo  qualunque  cittadino alla possibilita' di essere diffamato
senza  poter  neppure  tutelare  i  propri  diritti  ex art. 24 della
Costituzione.
    Ritenuta  pertanto,  la  necessita'  di  sollevare  conflitto  di
attribuzione  tra poteri dello Stato, sussistendone i presupposti sia
soggettivi  (il Tribunale, infatti, e' l'organo competente a decidere
definitivamente,  nell'ambito  delle  funzioni  giurisdizionali a lui
attribuite,  sull'asserita  illiceita'  delle  condotte oggetto delle
doglianze  della  parte  lesa)  che  oggettivi (si tratta nel caso di
specie,  per un verso, di valutare la sussistenza dei presupposti per
l'applicazione  dell'art. 68, comma 1 della Costituzione e, per altro
verso,   di  valutare  la  lesione  di  attribuzioni  giurisdizionali
costituzionalmente    garantite:   cfr.   sul   punto,   ord.   Corte
costituzionale 269 del 1996);